Intervista e focus sul mio intervento a MobilitARS 2023 “città 30: la strada è di tutte”
Interventi “dal basso”
Nell’ultimo anno abbiamo visto piste ciclabili dipinte nell’arco di una notte e parcheggi trasformati in area giochi. Sembra che grazie a piccoli interventi anche con la collaborazione “dal basso”, si possa facilmente ridisegnare un quartiere. E’ così?
Sì, è così. Nell’ultimo anno abbiamo visto amministrazioni intervenire in tempi relativamente rapidi con infrastrutture leggere, come le corsie ciclabili e gli interventi di urbanistica tattica.
Le corsie ciclabili, piste ciclabili dipinte lungo la carreggiata, sono uno strumento che viene utilizzato con successo da decenni in Europa, economiche e veloci da realizzare, ma che in Italia ancora creano polemiche e dubbi per due importanti questione.
La prima, è una questione culturale. La strada in Italia è ancora considerata assoluta proprietà dell’auto: lo vediamo per assurdo proprio in corrispondenza degli attraversamenti pedonali, dove purtroppo continuiamo a morire (dei 612 pedoni morti nel 2018 più della metà sono stati investiti sulle strisce pedonali) e dove il pedone si sente in dovere di ringraziare quando finalmente l’automobilista gli consente di attraversare, e nel fatto che ancora troppo spesso si realizzano piste ciclabili sui marciapiedi, sottraendo spazio ai pedoni e contribuendo a creare un conflitto tra gli utenti deboli della strada, invece di sottrarre spazio alle automobili redistribuendo equamente lo spazio stradale, in quella che Gil Penalosa chiama “democrazia dello spazio pubblico”.
La seconda, è la questione della sicurezza stradale. Siamo tra i pochi paesi europei in cui l’incidentalità urbana continua a crescere (28.9 morti per milione di abitanti contro i 10.9 della Gran Bretagna, con lo stesso numero di abitanti), le strade sono ancora teatro di una strage quotidiana (3.173 morti e quasi 250mila feriti nel solo 2019) che riguarda tutti gli utenti della strada, e di conseguenza le corsie ciclabili sono ancora considerate troppo pericolose. Il tema è rendere le strade sicure per tutti, in modo che anche le corsie ciclabili siano sicure. La strada è di tutti, a partire dal più fragile.
Quello degli interventi dal basso, per trasformare i quartieri in poco tempo, è poi un altro discorso. Utilissimo per far capire che la strada è delle persone, per recuperare il senso originario della strada che è il luogo pubblico per eccellenza, luogo per incontrarsi, sedersi, camminare e giocare. Se pensiamo che l’80% dello spazio pubblico è rappresentato dalle strade, non possiamo nel 2021 ancora considerarle solo come asse di scorrimento veicolare, ma devo tornare ad essere il luogo di vita e di socializzazione fondamentale per la città.
Pensiamo che molte città nel mondo, recentemente anche New York, hanno dichiarato di voler diventare città senz’auto, come visione per aumentare la vivibilità, l’efficienza, la sicurezza e la vivibilità delle nostre città.
E di questo parlerò a MobilitARS, con il mio intervento su “Città 30 subito”.
L’Urbanistica tattica è lo strumento per arrivare ad avere la città 30, significa trasformare una strada, una parte di quartiere, dal basso con i cittadini con interventi temporanei e a basso costo per ripensare la strada come spazio pubblico, e la parte fondamentale, che a Milano si sta perdendo negli ottimi interventi che si stanno realizzando, è la comunicazione, per far crescere una nuova cultura del traffico.
Lydia Bonanomi, considerata la madrina della moderazione del traffico in Francia, già 30 anni fa ci diceva che i cittadini non sanno cos’è una zona 30 e quali sono i benefici (riduzione dell’incidentalità e miglioramento della qualità del vivere) e già allora proponeva quindi momenti di festa, di relazione tra residenti per far toccare con mano quali sono i vantaggi dell’andare piano: se io riduco la velocità dell’automobile in città posso dedicargli meno spazio e restituirlo alle altre funzioni importanti della strada, che possono essere nuove alberature, una nuova pista ciclabile, un marciapiedi più ampio, spazio per bar e ristoranti per i tavolini esterni, aspetto tanto importante nel post covid, giochi per i bambini, sedute, etc…
Ridurre la velocità consente di migliorare la qualità del vivere in città, e questo a favore di tutti gli utenti della strada. Se consideriamo che il 40% degli spostamenti in auto sono inferiore a 3km e il 60% sotto i 5km, già solo ridurre questo uso spesso inutile dell’auto favorirebbe non solo persone a piedi e in bici, ma gli stessi automobilisti che l’auto sono costretti ad usarla, i mezzi pubblici e la sicurezza stradale.
La città 30 rende le città, e i cittadini, più felici?
La città 30, cioè tutte le strade con limite di velocità a 30Km/h tranne la viabilità principale, rende la città meno inquinata, meno rumorosa, meno pericolosa e quindi più bella, vivibile, accessibile e realmente inclusiva.
La città 30 è il modello che stanno perseguendo tutte le città europee. Il tema è tanto importante che addirittura due stati come Olanda e Spagna hanno recentemente votato in Parlamento una legge che prevede i 30Km/h in tutte le strade urbane di tutto il paese. Per dare strada alle persone.
La felicità è collegata alla qualità della vita. Numerosi studi di psicologia e pediatria dimostrano che i bambini che vanno a scuola a piedi o in bicicletta dimostrano maggiore capacità di apprendimento, eppure siamo il paese in Europa che più accompagna i propri figli a scuola in automobile (meno del 7% dei bambini in Italia va a scuola in autonomia contro il 40% dei bambini inglesi e tedeschi) perchè le strade sono considerate troppo pericolose. Rendere una strada sicura riducendo le velocità favorisce l’autonomia dei bambini e di conseguenza la loro felicità.
E in che modo può rendere le città più sane?
Moderando la velocità si riducono morti e feriti, rumore e inquinamento, si rende più sicuro muoversi a piedi e in bici e soprattutto consente di ridurre gli spazi dedicati all’automobile a favore della qualità della strada come spazio pubblico, per una città più sana, accessibile e inclusiva.
Tutti gli studi dimostrano che in ambito urbano tra 30 e 50 Km/h cambiano poco i tempi di percorrenza (gran parte del tempo lo perdiamo agli incroci e ai semafori) ma aumenta in modo abissale la sicurezza e quindi il muoversi in sicurezza indipendentemente dal veicolo che si usa.
La città dei 15 minuti
Milano è la città italiana che più di ogni altra sta testando le potenzialità di questo approccio. Il piano del sindaco Beppe Sala non parla solo di automobilisti, ma anche di pedoni e ciclisti. Cosa ne pensa?
Sì, Milano è la città che più sta lavorando per la città per le persone, non parlando di automobilisti, pedoni e ciclisti bensì di città dei 15 minuti.
Come le città europee si tanno trasformando in risposta al Covid-19?
La gran parte delle città europee, ormai in gran parte città 30, stanno costruendo la città dei 15 minuti, che vuol dire ripensare gli spazi e i tempi della città, accorciando le distanze e riducendo la necessità di spostamento delle persone. La città dei 15 minuti è una città fatta di piccole città in cui in 15 minuti raggiungo tutte le principali funzioni della vita quotidiana: lavoro, spesa, scuola, commercio locale, attività ricreative…
Pensiamo ai quartieri periferici come è oggi il centro della città, per riportare nelle periferie le funzioni della vita e non concentrarle nel centro.