Presento di seguito un’intervista a cura dell’architetto Marilena Motta di Udine
L’Italia è davvero diversa dall’Olanda e dalla Danimarca?
Matteo, la vivibilità e l’attrattività degli spazi urbani, la qualità dello spazio pubblico, l’accessibilità e la sicurezza delle nostre strade sono i temi che dobbiamo considerare per mettere le persone al centro delle trasformazioni urbane.
Il nostro paese ha ancora molta strada da percorrere. Dal tuo punto di vista ritieni davvero che esista una peculiarità italiana a costituire giustificata causa in questo ritardo? L’Italia è davvero diversa dall’Olanda, dalla Danimarca?
Non siamo diversi dagli abitanti degli altri paesi europei come mi sento dire da anni. Lo dimostra ormai da qualche anno la Spagna, popolo mediterraneo come il nostro, che sta facendo cambiamenti molto importanti per quanto riguarda la sicurezza stradale, la qualità dello spazio pubblico, la città delle persone. E ci sta riuscendo attraverso una importante campagna di informazione e comunicazione, che spiega ai propri cittadini perché sia così importante cambiare modello di mobilità mettendo al centro le persone. Come dimostrano le più importanti esperienze europee, la comunicazione, troppo spesso tralasciata in Italia, è fondamentale per raccontare il cambiamento ed i vantaggi che può portare, altrimenti non comprensibili dalla maggioranza dei cittadini. È per questo che una città come Monaco, dove solo il 27% dei residenti utilizza l’automobile, per ogni progetto di riqualificazione investe un quarto dell’investimento in comunicazione, una cifra che sembra elevata ma che è strategica per spiegare i motivi, i vantaggi, i miglioramenti che può portare a tutti i cittadini.
È ormai innegabile che l’automobile abbia portato con sé gravi conseguenze per la vita urbana e sia diventata una seria causa per i problemi ambientali, sociali ed estetici che caratterizzano le nostre città. Le troppe auto in circolazione (65 ogni 100 abitanti, record europeo, rispetto alle 25 ogni 100 abitanti di città come Parigi o Amsterdam), hanno invaso completamente le strade, rendendole brutte, pericolose (3.283 morti e quasi 250mila feriti nel solo 2016), inquinate e spesso inaccessibili all’utenza attiva. Un modello di mobilità inefficiente che genera un costo sociale pari a circa 30 miliardi di euro per l’incidentalità e 15 miliardi per l’inquinamento da traffico, equivalenti a circa il 3% del PIL italiano.
Per tale motivo sempre più professionisti, amministratori, associazioni e movimenti nel mondo si interrogano su quale debba essere il ruolo della strada nelle città di domani, il luogo che costituisce l’80% dello spazio aperto accessibile, il luogo delle attività e delle relazioni sociali. E la risposta è sempre la stessa: diamo strada alle persone! Pensare alla strada non solo come asse di scorrimento del traffico veicolare quanto come spazio di relazione tra una pluralità di utenti e di funzioni consente di (ri)progettare lo spazio pubblico mettendo al centro le persone, la qualità urbana, la vivibilità, l’accessibilità. “If you plan cities for cars and traffic, you get cars and traffic. If you plan for people and places, you get people and places” (Fred Kant).
Perchè pensare ad una città a misura di bici è un’opportunità?
Veniamo alla bicicletta. Spiegaci perché pensare ad una città a misura di bici è un’opportunità che porta vantaggi all’intera collettività.
Nei paesi del nord Europa già alla fine degli anni Settanta le amministrazioni hanno lavorato molto sulla sicurezza e ora hanno sviluppato la ciclabilità su strade molto più sicure delle nostre. D’altronde numerose ricerche dimostrano che il maggior disincentivo all’uso della bicicletta è proprio la scarsa sicurezza stradale. Non è tanto l’idea della pista ciclabile nella zona residenziale, ma la nuova cultura dello spazio condiviso che deve passare e sedimentarsi. La gran parte delle città europee sta riducendo i limiti di velocità in ambito urbano da 50 a 30Km/h. Andando piano lo spazio torna ad essere sicuro e condivisibile, cioè quel luogo che è il cuore dinamico delle nostre città, un luogo di vitalità per tutti. Nelle città di tutta Europa il 30% di spostamenti in auto coprono distanze inferiori ai 3 Km, mentre il 50% è inferiore a 5 Km. Raccontare questi dati significa far capire che usare meno l’auto è una scelta possibile e che la bicicletta è il veicolo più veloce in ambito urbano. La bicicletta ci fa guadagnare tempo.
L’altro elemento su cui puntare è la qualità. Realizzare zone 30 diffuse per intenderci, non vuol dire solo fare andare piano le auto, altrimenti riempiremmo le città di dossi. In realtà è proprio l’occasione di recuperare la qualità delle nostre strade che abbiamo perso sul modello auto centrico. Realizzando elementi che ne addolciscano la qualità, mettendo delle sedute, delle fioriture, del verde, anche il cittadino sarà più disposto al compromesso in virtù di un’accresciuta qualità della strada. Molti studi, inoltre, dimostrano che così aumenta il valore immobiliare delle case.
Come le sperimentazioni dal basso possono essere uno strumento utile?
Trasformare gli spazi urbani è un’operazione molto complessa, che richiede coraggio da parte dei decisori, perché incide sulle abitudini delle persone. Come la sperimentazione e il coinvolgimento della cittadinanza possono essere uno strumento utile per attivare processi di trasformazione virtuosi? Raccontaci la tua esperienza.
Le sperimentazioni realizzate attraverso un intervento temporaneo, a basso costo e progettato dal basso, hanno lo scopo di far “toccare con mano” i vantaggi della velocità ridotta, permettere ai cittadini di rendersi conto della migliore vivibilità di una strada moderata, della maggiore sicurezza per tutti gli utenti della strada, della riduzione del rumore, dell’aumento della qualità e vivibilità dello spazio pubblico, di proporre eventuali modifiche o migliorie prima della realizzazione definitiva, creando il consenso necessario alla buona riuscita dell’intervento. Scopo, non secondario, è anche quello di mostrare agli amministratori che se tali interventi vengono fatti coinvolgendo i cittadini, realizzando una buona comunicazione per far comprendere che non si tratta di misure contro gli automobilisti, bensì a favore della sicurezza e della convivenza tra tutti gli utenti della strada, per recuperare la vivibilità e la qualità delle nostre città, il consenso è possibile.
Molti amministratori dichiarano il loro consenso per la realizzazione di questi interventi ma sostengono che costano troppo, che non ci sono le risorse. Le prime sperimentazioni che ho attuato in Italia (Casalmaggiore, Terni, Modena, Milano) dimostrano invece che una zona 30 è possibile realizzarla anche a basso costo. Si sottolinea inoltre che investire sulla sicurezza attraverso la moderazione del traffico significa ridurre l’incidentalità e quindi i costi da essa derivanti consentendo così un risparmio per l’intera collettività.
L’esperienza dimostra infine che anche i commercianti della zona, solitamente restii ad accettare questo tipo di soluzioni, possono trarre vantaggio dalla nuova configurazione della strada: la sicurezza e la qualità, accompagnate da un forte marketing territoriale, possono divenire una soluzione fortemente attrattiva, sia nei confronti dei cittadini che dei turisti, e richiamare nuovi consumatori.
Ma al di là del risultato, pur notevole, la cosa più interessante è stato il rapporto con i cittadini. Lavorare direttamente in strada ha permesso di incontrarsi (e scontrarsi) e poter spiegare le ragioni e la visione che stanno alla base di un progetto. Molti sono stati subito felici di veder realizzato un intervento che potesse garantire sicurezza e minori incidenti, alcuni sono stati contrari, altri ancora sebbene perplessi in un primo momento, hanno cambiato opinione al termine dell’illustrazione del progetto e soprattutto vedendo i risultati eclatanti a fine giornata. In ogni caso, favorevoli o contrari, tutti hanno dato l’impressione di riuscire ad adeguarsi rapidamente alla nuova situazione, tanto che molti, saputo che si trattava solo di una sperimentazione temporanea, si sono immediatamente attivati per creare un gruppo di pressione verso l’Amministrazione, per far sì che l’intervento potesse diventare permanente.
La Nuova Mobilità ciclistica sicura e diffusa
L’incarico che stai svolgendo per la nostra Regione ti ha portato a conoscere il nostro territorio. Visti da fuori a che punto siamo?
In Italia c’è indubbiamente ancora molto da fare sui temi della sicurezza stradale e della mobilità attiva. Ma girare il paese per lavoro mi ha dato la possibilità di scoprire come in una Regione affascinante come quella del Friuli Venezia Giulia sia stata già intrapresa la “strada” corretta. Lo dimostra la nuova legge Regionale per la ciclabilità che già nel titolo evidenzia cosa sia realmente necessario: “Interventi per la promozione della Nuova Mobilità ciclistica sicura e diffusa”.