Articolo scritto per Bicizen.it il 15 maggio 2013.
La costruzione delle reti ciclabili
Tornando al tema della costruzione delle reti ciclabili, proprio per le considerazioni svolte nel precedente post, in Francia si è deciso di realizzare piste ciclabili separate su strade con limite di velocità a 70Km/h (tendenzialmente in ambito extra-urbano o lungo assi stradali di grande scorrimento), corsie ciclabili su strade con limite di velocità a 50Km/h (le strade urbane della rete primaria) e nessuna infrastruttura ciclabile su strade con limite di velocità a 30Km/h (zone 30).
Sempre Gilbert Lieutier sostiene inoltre come sia necessario che la ciclabilità non releghi i ciclisti fuori dalla sede stradale perchè ciclisti e automobilisti, ciascuno nel proprio spazio, non si riconoscono e come sia meglio prendere spazio alle automobili piuttosto che ai pedoni.
L’esempio di Berlino
Anche a Berlino sono giunti alla stessa conclusione. La chiave del successo berlinese sta indubbiamente nell’estesa della rete: si tratta di oltre mille chilometri che coprono l’intera metropoli. Di questi, 650 sono ritagliati sui marciapiedi, cioè strisce nettamente separate dalla carreggiata riservata alle auto. «Ma questo sta cambiando – dice Roland Huhn (capo dei Trasporti dell’Adfc), – Prima si pensava che tenere le biciclette lontane dalle auto fosse la cosa migliore, che il ciclista si sentisse più sicuro e protetto. Ma abbiamo visto che non è vero. Innanzitutto, quella sicurezza è mal riposta quando si avvicina a un incrocio. In secondo luogo, queste piste favoriscono gli incidenti con i pedoni. Terzo, il guidatore di un’auto fatica a vedere chi è in bicicletta».
L’esempio di Madrid
Si riportano inoltre i risultati del recentissimo studio condotto a Madrid prima e dopo la costruzione di tre ciclovie, a due anni di distanza, per i quali i percorsi ciclabili separati frenano l’uso della bicicletta:
Secondo lo studio quindi «la soluzione più costosa possibile ha dimostrato di essere più inefficiente che non fare nulla, e persino controproducente. Non solo non sono servite per far crescere l’uso della bicicletta, ma hanno trasformato le strade in cui si sono realizzate le piste meno attrattive per l’uso quotidiano, spostando i ciclisti veloci nelle strade parallele e lasciando queste infrastrutture per il tempo libero di chi circola a meno di 15Km/h, che è una strana maniera di offrire alternative competitive ai tragitti in automobile».
Il caso di Stevenage
Molto interessante infine il caso di Stevenage, una delle prime “New town” inglesi, di circa 80 mila abitanti, situata a 50 chilometri da Londra, dove gli spostamenti quotidiani in bicicletta sono progressivamente diminuiti scendendo oggi addirittura sotto il 3%. La conclusione, secondo ECF, è abbastanza ovvia: non è sufficiente una singola misura per portare più persone in bicicletta, è necessario invece un insieme di interventi dai quali emerga una visione chiara della mobilità a partire dalla moderazione del traffico motorizzato (separazione solo su grandi arterie) passando per le corsie ciclabili in carreggiata, disincentivo dell’auto privata e riduzione del parco auto, bike sharing, intermodalità e miglioramento del trasporto pubblico, campagne di sensibilizzazione sulla convenienza dell’uso della bicicletta e sulla sicurezza in strada, facilities per i ciclisti, …
In conclusione
In conclusione, le città italiane, che hanno sino a ieri ignorato il tema della ciclabilità, devono affrontare il problema di favorire la massima espansione dell’uso della bicicletta nel modo più sicuro possibile ed il più rapidamente possibile, compatibilmente con la scarsità di risorse reperibili.
Questa è l’ottica con la quale oggi va valutata la separazione, che seppur efficace in alcuni casi e per alcune tipologie di utenti, è costosa e lenta da implementare. La condivisione appare in questo senso assai più promettente ed è infatti questa la strada che si sta seguendo in moltissime città di ‘nuova ciclabilità’ (e non solo in quelle).
Come già evidenziato, tale approccio deve sempre comprendere sia la ‘preferenziazione’ (come ad esempio le cycle superhighways di Londra) che la moderazione, ed è proprio il secondo aspetto quello in assoluto più importante. La moderazione, assieme alla messa in sicurezza dei molti punti pericolosi in genere ben diffusi nelle reti stradali urbane, rende molto più sicuri ed efficaci gli interventi di preferenziazione e, soprattutto, restituisce maggior sicurezza per tutti, automobilisti compresi.
Tutto questo non significa ovviamente abbandono dei progetti di realizzazione di piste separate, ma significa riservarli ai casi in cui risultino davvero indispensabili, vuoi per la presenza di una utenza particolarmente vulnerabile, vuoi per la tipologia delle strade cui si appoggiano (assi di scorrimento lunghi e veloci), vuoi per l’importanza ‘topologica’ (costruzione di ‘anelli mancanti’ della rete).